Il museo

I raccoglitori di capelli “Lhi Pelassiers”

Un proverbio antico ma sempre attuale recita “la necessita aguzza l’ingegno”
Proprio la necessita ha portato gli Elvesi a praticare un mestiere tanto strano e quasi unico.

Ma andiamo con ordine, va detto che da sempre l’economia di Elva, che era per lo più fondata su attività agro pastorali, spesso era inadeguata a sostenere le esigenze di molte famiglie. Di qui la necessità, per gli uomini adulti, di emigrare in cerca di lavori che consentissero di avere qualche provento in più.
Questa era stagionale e avveniva da novembre fino alla prima domenica di maggio, la festa di San Pancrazio, quando tornavano al paese per le attività agricole estive. Le destinazioni erano in diverse regioni Italiane e la Francia. Essi erano impiegati in attività agricole di vario genere o artigianali di cui alcuni avevano una qualche pratica.

 

Molti Elvesi si dimostrarono anche pratici nel commercio, attività che seppur con maggiori incertezze e un esborso di un capitale iniziale, poteva garantire guadagni molto superiori del lavoro sotto padrone ed era indirizzata alla vendita di lana e stoffe casa per casa.

 

Arrivati a inizio ottocento questi piccoli commercianti vengono in contatto con il commercio dei capelli, che diventerà prerogativa di quelli di Elva, ma praticato anche in altri paesi come Bellino e Melle in Valle Varaita. Questo mestiere ha origini incerte, una versione narra di un soldato, di ritorno al paese dopo la pace di Campoformio del 1797, che avrebbe notato tale attività a Venezia, l’altra versione racconta di un commerciante Elvese che a Parigi avrebbe appreso le possibilità di vendere capelli umani per fare parrucche. Sta di fatto che fin dal 1828-1830 si hanno prove certe di un “commerciante di cascami” tale Dao Giò Pietro.
Questo particolare mestiere si affermò sempre di più e fu praticato fino ad oltre la metà dello scorso secolo. l’acquisto, ma spesso era un baratto con stoffe, avveniva su territori sempre più vasti che comprendevano tutto il nord Italia e giù fino alle marche, in Calabria e di certo, si sa, con contatti in Sicilia. Un luogo di predilezione era il Veneto e il Friuli, dicevano per la qualità dei capelli, ma il motivo principale era la povertà, che spingeva le donne a privarsi della loro chioma in cambio di un po di stoffa cosi da potersi cucire un abito.

 

Da principio raccoglievano solo cascami che rivendevano direttamente o li portavano a Saluzzo dove esisteva un vero e proprio mercato dei capelli. Dopo questa prima fase si iniziò a raccogliere anche i così detti “pels dal penche” i capelli del pettine, per intenderci quelli che si staccavano quando le donne si pettinavano e che raccoglievano in sacchetti da rivendere ai pelassiers. Questi dovevano essere lavati e lavorati per mettere insieme le radici e dividerli per colore e lunghezza, di qui la necessità di essere trasportati in paese dove nacquero sia laboratori casalinghi che laboratori che davano lavoro anche a 12 donne, la lavorazione era tutta femminile.

Molti di questi commercianti fecero notevoli fortune esportando la loro merce un po in tutto il mondo, qualcuno arrivò al vertice produttivo fabbricando direttamente le parrucche. Uno fra tutti fu Isaia che, partendo da Elva, impiantò il suo laboratorio prima a Villafalletto poi a Parigi e infine a Londra.

 

Oggi questa attività non esiste più, perlomeno quella di raccoglitori, esistono a Saluzzo e altrove ancora laboratori per il confezionamento di parrucche figli i nipoti dei pelassiers. In paese cè un museo che racconta questa avvincente e unica storia così particolare, nata dalla necessità di sopravvivenza che poi l’ ingegno umano ha trasformato in una notevole e spesso principale fonte di reddito. Al suo interno troverete gli strumenti usati per tale mestiere, dei video con testimonianze che lo descrivono oltre a molte immagini che lo testimoniano.

 

Per la visita dovete rivolgervi al negozio “La Butego” di Borgata Serre e il museo si trova, li vicino, nella Casa della Meridiana.